04 Dicembre 2024
La legge Calderoli è colpita e (forse) affondata, ma a finire sotto la tagliola emendativa della Corte Costituzionale è la stessa riforma del Titolo V approvata in fretta e furia dall’allora centrosinistra nel 2001 per tentare di fermare l’onda lunga della Lega Nord di Umberto Bossi. La lettura delle 109 pagine delle motivazioni della sentenza con cui i giudici costituzionali presieduti da Augusto Barbera il 14 novembre scorso hanno bocciato in più parti la legge 86 del 2024 per l’attuazione dell’autonomia differenziata ci restituisce infatti una storica revisione di tutta la materia regionalistica. Intanto la Consulta rivede la legge Calderoli per quanto riguarda l’elenco delle materie, o meglio delle funzioni, la definizione dei Lep, il ruolo del Parlamento e la stabilità finanziaria (si veda l’articolo in pagina). Quello che ne risulta è una legge con molti buchi. Basta mettere in fila, come fa il costituzionalista ed ex parlamentare del Pd Stefano Ceccanti, le parti della legge soppresse dalla sentenza: «Senza considerare le importanti riserve di interpretazione sull’elenco delle materie e sul ruolo del Parlamento (rilevanti anche se la tecnica fa sì che non impattino direttamente sul testo), saltano per incostituzionalità: un comma chiave dell’articolo 1, idem per un comma chiave e un pezzo di un comma dell’articolo 2 (si tratta in entrambi i casi della questione dei trasferimenti di funzioni e non di materie), un comma decisivo sia dell’articolo 3 sia dell’articolo 4 riferiti ai Lep, un comma dell’articolo 2 su un eccesso di iniziativa legislativa delle Regioni; 3 commi dell’articolo 3 che erano cardini per la determinazione dei Lep, e uno dell’articolo 8 sui profili finanziari; un comma dell’articolo 9 sulla facoltatività del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, un comma dell’articolo 11 sull’applicabilità alle Regioni Speciali...».